Scioglimento dei ghiacciai e crisi idrica: perchè nemmeno l’Italia è al sicuro

Nel 2010, con una storica risoluzione, l’Onu ha sancito il diritto all’acqua quale “diritto umano e fondamentale”. Non diversamente Papa Francesco, durante la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato tenutasi lo scorso I settembre, lo ha definito “un diritto essenziale, fondamentale e universale”. Il tema dell’accesso all’acqua nel corso degli ultimi decenni sta diventando sempre più centrale nelle agende politiche degli Stati anche, o soprattutto, a causa delle conseguenze sempre più evidenti del cambiamento climatico in atto.

Il controllo delle fonti idriche nel prossimo futuro rappresenterà uno dei maggiori motivi di tensione a livello geopolitico e, già oggi, le water wars sono realtà in diverse parti del pianeta. Ne sono un esempio le tensioni tra India e Pakistan per lo sfruttamento delle acque contese;  quelle tra Egitto, Sudan ed Etiopia per il controllo e la gestione delle acque del Nilo, nonchè la pluridecennale occupazione cinese del Tibet, fondamentale per il controllo delle risorse himalayane (per un approfondimento del tema si consiglia il libro “Water wars” dell’indiana Vandana Shiva).

Sotto questo punto di vista l’Italia sembrerebbe fuori pericolo, con la capacità idrica nazionale che non desta al momento grandi preoccupazioni. Gli effetti del cambiamento climatico, tuttavia, stanno colpendo anche il nostro Paese: ne rappresenta un ottimo esempio l’estate del 2017, tra le più torride e secche mai registrate, che costrinse ben 12 regioni a dichiarare lo stato d’emergenza e spinse i maggiori bacini idrografici ben al di sotto dello zero idrometrico (ampia eco mediatica ebbe il caso del Lago di Bracciano, sceso circa 2 metri al di sotto della soglia abituale).

Nonostante il nostro Paese sia tra i più ricchi d’acqua al mondo, con il consumo pro capite maggiore e presenti un bilancio positivo tra capacità idrica e consumo, gli effetti del cambiamento climatico dovrebbero comunque imporre un ripensamento a livello nazionale dello sfruttamento dell’acqua. Risorsa non infinita per quanto abbondante in Italia.

In primis, la rete idrica nazionale avrebbe bisogno di un vero piano infrastrutturale volto a riammodernarla e renderla più efficiente. Al momento, infatti, la percentuale di acqua che si disperde a causa delle pessime condizioni della rete è pari, su scala nazionale, al 40%. In secundis, anche nel campo idrico occorre ripensare il consumo in un’ottica circolare, aumentando la percentuale di acque ad uso domestico che poi vengono reimpiegate in agricoltura. Infine, è necessario rendere più efficiente l’intero sistema agricolo, che da solo assorbe il 60% della domanda d’acqua del Paese.

Qualora non si dovesse ripensare in un’ottica circolare anche il consumo di acqua, le conseguenze nel medio lungo periodo potrebbero essere devastanti. Infatti, a fronte di una domanda d’acqua in continua crescita, assistiamo ad una costante diminuzione della capacità idrica. I ghiacciai alpini, i quali rappresentano una voce consistente nella produzione idrica nazionale, sono in costante e rapido ritiro. Si stima che, rimanendo queste le temperature, quasi la totalità dei ghiacciai oggi presenti nell’arco alpino scomparirà entro la fine del secolo. Le conseguenze di tale scomparsa sarebbero devastanti non solo dal punto di vista dell’approvigionamento idrico ma anche dal punto di vista energetico: l’energia idroelettrica rappresenta infatti circa il 15% della produzione complessiva italiana e buona parte di questa è prodotta nell’arco alpino. La scomparsa dei ghiacciai causerebbe dunque la perdita di un importante capitolo nel bilancio energetico.

Sul lungo periodo gli effetti del riscaldamento climatico metteranno dunque a dura prova anche la capacità idrica italiana, nonostante la penisola abbia goduto fino ad oggi di una ricchezza inedita tra i Paesi mediterranei. È necessario perciò rispondere con un utilizzo più consapevole delle risorse idriche e, soprattutto, diminuire gli sprechi.