È di trentasette vittime il bilancio dell’ondata di maltempo che ha travolto la penisola nell’ultimo mese. Tragedie destinate a ripetersi senza un piano concreto di interventi per rimediare a decenni di politiche troppo permissive in tema di abusivismo edilizio e tutela del territorio.
Secondo il CRESME, tra edificazioni ex novo ed ampliamenti, ogni anno sono circa 20.000 i casi di costruzioni realizzate in totale assenza di concessione edilizia, spesso in aree dove gli strumenti urbanistici non ne consentirebbero il rilascio. Una piaga, quella dell’abusivismo edilizio, che nasce da motivazioni meramente economiche. Una casa abusiva può arrivare infatti a costare anche il 50% in meno di un’abitazione regolare, grazie al risparmio derivante da utilizzo di materiali non certificati, manodopera pagata in nero e totale assenza di permessi e spese per la sicurezza del cantiere.
In Italia il fenomeno dell’abusivismo edilizio divenne endemico a partire dal secondo dopoguerra, quando, parallelamente alla rapida urbanizzazione del Paese, le periferie delle grandi città furono popolate dalle classi meno abbienti e divennero teatro di numerosissimi quanto rapidi micro-cantieri, in cui la costruzione di un tetto, grazie a leggi molto permissive, era sufficiente ad evitarne la demolizione.
Se in un primo momento l’abusivismo diede quindi una risposta, seppur sbagliata, all’esigenza abitativa di larghe fasce di popolazione, negli anni ’60 e ’70, sistemate le folle di senzatetto, il fenomeno si spostò verso obiettivi più remunerativi, assaltando i boschi, le coste e le spiagge delle località turistiche, durante quella che gli esperti chiamarono “corsa alla seconda casa”. Insieme ai luoghi cambiarono anche gli attori: dai ceti deboli il fenomeno si allargò alla classe media ed alle imprese, le quali, disponendo di capitali più ingenti, potevano così realizzare maggiori volumi.
Il primo condono edilizio avvenne nel 1985 sotto il governo Craxi (quando ministro dei Lavori Pubblici era il socialdemocratico Franco Nicolazzi), che sanò gli abusi realizzati fino al 1983. Sempre secondo dati CRESME, l’effetto di tale provvedimento avrebbe provocato il sorgere – nel solo biennio 1983/4 – di 230.000 manufatti abusivi, mentre quelli realizzati fra il 1982 e tutto il 1997 sarebbero 970.000. Un secondo condono edilizio si ebbe poi nel 1994 all’epoca del primo governo Berlusconi, al quale seguì negli anni successivi una serie di provvedimenti che confermarono la tendenza all’impunità in tale materia.
I condoni, visto l’alto numero di nuclei familiari coinvolti, hanno contribuito a modificare la percezione di illegalità del fenomeno, considerato incredibilmente tenue (quasi un peccato veniale e non un vero e proprio reato), salvo poi gridare allo scandalo quando un’abitazione realizzata senza alcun rispetto delle norme di sicurezza crolla sotto un terremoto o spazzata via dal fango.
È il caso della tragedia di Casteldaccia, in provincia di Palermo, dove una villetta è stata travolta dalla piena del fiume Milicia, in cui nove persone hanno perso la vita. Il manufatto era una costruzione abusiva insanabile in quanto sorgeva in una zona a inedificabilità assoluta, sulla quale da tempo pendeva un’ordinanza di demolizione del Comune.
Con la strage di Casteldaccia e l’ondata di maltempo di ottobre, si torna dunque ad affrontare un argomento a lungo dibattuto, quello dell’abusivismo edilizio, legato a doppio filo al tema del dissesto idrogeologico. Il problema riguarda principalmente – ma non solo – il Sud Italia. In Sicilia, dal 2004 ad oggi, sono state emesse 6.637 ordinanze di demolizione, di cui ne sono diventate esecutive solo 1.089, ovvero meno di una su sei. Tra il 2016 e il 2017, gli immobili abusivi abbattuti sono stati appena 71, un numero che fa sorridere se lo si mette in relazione con le case abusive censite solo nella provincia di Agrigento (17.000 su 38.000 abitanti).
Spinto dall’emergenza che ha colpito la penisola in queste ultime settimane, Giuseppe Conte ha annunciato entro fine mese un piano straordinario, consistente in interventi da 900 milioni divisi su 3 anni. Secondo il presidente del Consiglio esso «costituirà l’occasione per la programmazione e il coordinamento dei progetti da mettere in cantiere per porre in sicurezza il territorio e contro il dissesto idrogeologico». Un’iniziativa. quella promossa dal governo, che appare in contraddizione con quanto inserito all’interno del cosiddetto “decreto Genova”, il cui discusso articolo 25 permetterebbe di fatto una sanatoria per le case danneggiate ad Ischia durante il terremoto del 2017.
Ad ogni modo, il piano annunciato da Conte non si limiterà solamente alla messa in sicurezza delle case abusive. Parallelamente al tema dei fabbricati edilizi realizzati selvaggiamente in assenza di regolamentazione, c’è infatti la necessità di salvaguardare il territorio e le bellezze naturalistiche. Uno studio realizzato da Coldiretti stima che nell’ultimo mese siano circa 14 milioni gli alberi caduti nel solo Veneto a causa del maltempo, ovvero un millesimo della popolazione arborea di tutto il Paese. Numeri che dovrebbero far riflettere sulla necessità di un grande piano nazionale di tutela ambientale, un’opera quotidiana di prevenzione, monitoraggio ed ordinaria manutenzione, in grado di difendere le bellezze e la sicurezza della nostra amata penisola.
Edoardo Castracane