Dal 3 al 14 dicembre si è tenuta a Katowice la Cop24, la conferenza mondiale sul clima organizzata dalle Nazioni Unite. Il fatto che a ospitarla sia stata proprio la Polonia avrebbe già dovuto farne presagire il risultato, tutt’altro che esaltante.
Il Paese, infatti, è maglia nera in Europa per il numero di città più inquinate: ben 33 tra le prime 50. Non solo, la Polonia è tra gli Stati che continua a puntare forte sul carbone. Ben l’80% dell’energia polacca deriva dalla combustione della più inquinante tra le fonti fossili, con Katowice che rappresenta la capitale dell’attività estrattiva del Paese. A diradare qualsiasi dubbio sulla reale possibilità di raggiungere risultati significativi ci ha pensato il presidente polacco, Andrzej Duda, nella conferenza stampa d’inaugurazione dei lavori, nella quale ha dichiarato che Varsavia non avrebbe rinunciato al carbone per soddisfare il proprio fabbisogno energetico.
Eppure le premesse al summit erano state abbastanza chiare circa l’urgenza di intraprendere azioni concrete volte a contrastare il riscaldamento globale. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, alcuni giorni prima dell’inizio dei lavori, aveva infatti lanciato l’allarme sulle politiche finora intraprese, del tutto fuori rotta rispetto agli obiettivi fissati a Parigi. Secondo il panel di esperti, un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali entro la fine del secolo è ormai inevitabile. Inoltre, il tempo a disposizione per limitare l’innalzamento a 2 gradi (l’obiettivo minimo fissato a Parigi) è ormai pochissimo: entro il 2030 le emissioni dovranno essere tagliate del 45%. Di questo passo, secondo l’IPCC, la temperatura mondiale salirà, entro il 2100, di almeno 3 gradi.
A rendere ancora più palpabile l’urgenza di misure concrete, è stato recentemente pubblicato sulla rivista Nature uno studio dell’università dell’East Anglia, secondo cui le emissioni di Co2 a livello mondiale cresceranno nel 2018 del 2,7%. Il dato è confermato (decimale più decimale meno) dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), secondo la quale l’aumento di emissioni è dovuto all’incremento del fabbisogno energetico mondiale provocato dalla ripresa economica. Il dato conferma il trend dell’anno precedente, quando le emissioni globali, dopo un triennio di calo dovuto alla crisi, erano aumentate dell’1,6%. La IEA conclude, inoltre, confermando quanto ci si stia allontanando dagli obiettivi sanciti a Parigi, per raggiungere i quali, ha calcolato, bisognerebbe invece diminuire le emissioni dell’1% ogni anno.
Se queste sono le premesse, è facile capire perché quanto stabilito al termine della Cop24 sia decisamente deludente. Il summit si è concluso con la firma del regolamento attuativo dell’accordo di Parigi, con il quale gli Stati firmatari determinano le informazioni sui loro impegni d’azione al fine di contenere il riscaldamento globale. Ulteriore punto su cui si è raggiunta l’intesa concerne lo stanziamento di un ingente fondo economico per aiutare i Paesi poveri e più vulnerabili. Secondo quanto stabilito a Parigi, i governi del primo mondo avrebbero dovuto già stanziare 100 miliardi di dollari l’anno agli Stati in via di sviluppo al fine di farli adattare ai cambiamenti climatici in corso. Di questi stanziamenti ne sono arrivati, però, solo 48. A Katowice Paesi come Germania e Norvegia hanno allora deciso di aumentare il proprio contributo al fondo verde, aumentando i rispettivi conferimenti.
Le buone notizie da Katowice finiscono qui. Anzitutto sono falliti i tentativi di inserire il report dell’IPCC (menzionato in precedenza) all’interno del programma del summit a causa del veto di USA, Russia, Kuwait e Arabia Saudita. Inoltre, slitta al prossimo anno, a causa delle resistenze del Brasile, il tentativo di introdurre modifiche al sistema Ets. Questo consiste nel mercato di scambio di emissioni di Co2 con le quali aziende e Stati meno efficenti possono comprare quote di emissioni da Paesi più virtuosi.
Il sistema, che si prefiggeva di ridurre le emissioni a causa dell’alto costo delle limitate quote (nell’ottica di rendere più vantaggioso per gli operatori l’ammodernamento degli stabilimenti o l’utilizzo di fonti energetiche pulite anziché il ricorso all’acquisto delle quote), è in parte fallito per l’abbattimento del loro prezzo, dovuto alla diminuzione della produzione industriale durante gli anni della crisi. Si era cercato perciò di ammodernare questo strumento in modo di renderlo più efficiente ma ogni tentativo di accordo è fallito dinanzi alle resistenze del Brasile. Il Paese carioca, inoltre, ha rifiutato di ospitare la prossima Cop25, diniego che lascia intendere chiaramente quale sarà la politica ambientale del neo presidente Bolsonero.
Il vertice di Katowice, nonostante l’urgenza di misure concrete per limitare l’innalzamento della temperatura globale, si è dunque concluso con più ombre che luci e con molte questioni importanti rimandate alla prossima Cop25 del Cile. Sperando che i nodi vengano finalmente sciolti, il tempo stringe.
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