In un mondo sempre più connesso, i progressi dell’Internet of Things crescono in maniera esponenziale, con la rivoluzione del 5G che accelererà ulteriormente la corsa.
Appena nel 2018 erano connessi circa 1,2 miliardi di device, mentre, si stima, nel 2023 essi supereranno i 4 miliardi. Quando pensiamo ad internet e all’infrastruttura digitale siamo portati a immaginarla come qualcosa di etereo, un immenso iperuranio dove vengono immagazzinate informazioni, file e quant’altro. La verità è ben diversa.
Il gigantesco traffico di dati ha infatti bisogno di infrastrutture reali, fisiche, che necessitano di enormi quantità di energia. Quando immagazziniamo dati su cloud, ad esempio, stiamo in realtà salvando documenti su un server fisico di qualcun altro. Tutti i dati esistono e sono salvati in data center, infrastrutture costituite, in altre parole, da enormi raggruppamenti di computer destinati all’immagazzinamento dei dati.
Queste infrastrutture, per poter funzionare e garantire i servizi che sfruttiamo ogni giorno, consumano enormi quantità di energia. Al momento si stima che la sola internet rappresenti circa il 7% del consumo globale di energia elettrica. Tale dato viene incrementato di anno in anno e già entro il 2030 potrebbe arrivare ad un quinto del fabbisogno mondiale.
La concreta materialità dell’infrastruttura digitale impone di riflettere su come questa si intersechi con la crisi climatica che stiamo vivendo in questi decenni. Se da un lato, infatti, internet ci permette di ridurre emissioni di CO2 (si faccia l’esempio di una riunione fatta in via telematica che ci fa risparmiare un viaggio con le relative emissioni), dall’altro le energivore infrastrutture digitali contribuiscono all’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera.
L’universo digitale nel 2008 contribuiva al 2% delle emissioni mondiali di CO2. Lo scorso anno, invece, la percentuale era salita al 3,7. Lo sviluppo dell’internet of things non farà che aumentare il fabbisogno energetico dell’infrastruttura digitale e, conseguentemente, le emissioni di CO2 legate a tale settore. Secondo alcune stime internet sarà infatti responsabile dell’8,5% delle emissioni globali nel 2025 e potrebbe arrivare a ben il 14% entro i prossimi 20 anni.
Ecco dunque che la sostenibilità delle infrastrutture digitali diventerà nel prossimo futuro un argomento fondamentale per cercare di risolvere la crisi climatica che stiamo attraversando. Su questo fronte i colossi digitali hanno già iniziato ad interrogarsi e a cercare soluzioni. Ad esempio Apple ha dichiarato di voler alimentare la sua infrastruttura unicamente con fonti rinnovabili (non lo stesso fanno però le aziende terze fornitrici), mentre Google e Microsoft ricorrono al sistema dei crediti di emissioni (in sostanza possono sforare la quota di emissioni, acquistandole da soggetti più virtuosi).
Un fattore che potrebbe andare in direzione di una maggiore sostenibilità, visto il massivo utilizzo di energia per il raffreddamento e la climatizzazione dei computer presenti nei data center, è quello di costruire tali strutture in località dove la temperatura è molto più bassa, come ad esempio la Groenlandia.
La digitalizzazione del nostro mondo e lo sviluppo delle infrastrutture digitali rischia insomma di diventare un’altra voce pesante nel già ampio elenco delle cause della crisi climatica globale. Non si può in altri termini parlare di rivoluzione digitale senza pensare alla sua sostenibilità, per evitare che internet, da alleato nella lotta al riscaldamento globale, possa diventare un pericoloso cavallo di Troia.