«Eccoci, Tripoli. Eccoci, Tripoli. Eroi, l’ora è suonata, è venuto il momento del nostro appuntamento con la conquista. Oggi facciamo tremare la terra sotto i piedi degli ingiusti». Con questo messaggio, il generale Khalifa Haftar ha dato il via all’ “Operazione per la liberazione di Tripoli”, facendo ripiombare la Libia nel caos e destando la preoccupazione degli attori nazionali ed internazionali.
L’avanzata di Haftar verso la capitale libica è iniziata a dieci giorni esatti dalla conferenza sul futuro della Libia che dovrebbe tenersi (a questo punto il condizionale è d’obbligo) dal 14 al 16 aprile a Ghadames, nel Sud-Ovest del Paese. Il vertice, organizzato dall’inviato ONU per la Libia Ghassan Salamè e che prevede la partecipazione di 120-150 rappresentanti delle diverse comunità libiche, era stato identificato come primo atto del percorso che entro la fine dell’anno avrebbe dovuto portare alle tanto invocate elezioni politiche e presidenziali.
Secondo molti analisti i due eventi risulterebbero collegati, in quanto l’obiettivo dell’uomo forte della Cirenaica sarebbe quello di giungere alla conferenza da una posizione di forza, che gli permetta di dettare le proprie condizioni. Nei mesi precedenti Haftar è stato in grado, grazie al supporto di alcune milizie Tuareg e Tebu, di conquistare il Sud della Libia, compresa l’area dove sorgono i principali giacimenti petroliferi, occupati e poi restituiti alla compagnia nazionale NOC. Grazie al controllo di buona parte della regione del Fezzan, le truppe dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) sono ora in grado di monitorare i traffici di armi, droga ed esseri umani che attraversano i confini con Niger e Ciad.
Nonostante il consenso di Haftar risulti crescente a partire dallo scorso settembre, non bisogna sottovalutare la forza delle truppe di Tripoli e (soprattutto) di quelle di Misurata, che appoggiano da sempre il presidente del Governo di unità nazionale Fayez Al Serraj. Lo stesso presidente ha decretato lo stato di emergenza massima e si è detto pronto a «respingere qualsiasi attacco», mobilitando l’aviazione e lanciando l’operazione Wadi Doum 2 (dal nome del luogo in cui Haftar venne sconfitto e catturato nel 1987 durante la guerra libico-ciadina) per fermare l’avanzata dell’esercito rivale.
I primi bombardamenti sono stati infatti effettuati 80 km a Sud della capitale, poco fuori la città di Garian, recentemente conquistata dalle forze di Haftar. La manovra del generale, ferma ad Ovest, sta procedendo invece a Sud dove (stando alle parole del portavoce del LNA) le truppe sarebbero a 20 km da Tripoli. Il tentativo dell’uomo forte di Bengasi è quello di trovare nuovi alleati tra le milizie vicine a Serraj, senza il supporto delle quali difficilmente sarà in grado di espugnare la città.
L’iniziativa di Haftar ha coinciso con la presenza in terra libica del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, in visita a Tripoli per verificare le condizioni dei migranti nei centri di detenzione. Visto l’evolversi della situazione, Guterres ha poi deciso di recarsi a Tobruk e Bengasi per incontrare Haftar e tentare di scongiurare il confronto militare. Nel frattempo la Gran Bretagna ha invocato un meeting straordinario del Consiglio di Sicurezza ONU per chiedere a Ghassan Salamè di fare il punto sulla situazione.
L’esortazione da parte della comunità internazionale è di ridurre le tensioni ed evitare un’escalation, che a questo punto si prospetterebbe come uno scontro finale tra i due rivali, con tutte le conseguenze annesse. In una dichiarazione congiunta Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti, Italia, Regno Unito e Francia hanno ribadito la propria invocazione alla moderazione e ad una soluzione politica della questione.
Proprio la Francia, che ieri ha ribadito l’importanza della conferenza di Ghadames, era stata accusata nei giorni scorsi di aver avuto un ruolo decisivo, insieme a Egitto e Russia, nell’avanzata di Haftar verso Tripoli. Anche il governo italiano ha espresso preoccupazione per il nuovo round di combattimenti e per gli scenari che potrebbero crearsi.
Gli interessi italiani in Libia, lo ricordiamo, sono estremamente rilevanti sotto diversi punti di vista: economico, energetico e di sicurezza. Per quanto riguarda l’elemento economico-energetico, i numeri parlano da sé: in Tripolitania l’Italia ha il 70% dei suoi interessi economici e del petrolio dell’Eni, oltre al gasdotto Green Stream che ci garantisce parte delle forniture. Sul fronte sicurezza, invece, un nuovo caos libico favorirebbe il riprendere di flussi incontrollati di migranti e terroristi verso l’Italia (circa 400 sarebbero già evasi dalle carceri in questi giorni, approfittando della situazione). A Misurata, inoltre, un contingente del 7° Reggimento Bersaglieri di Altamura presidia l’ospedale da campo italiano, dove tra militari e sanitari si contano al momento 300 uomini.
La speranza, dunque, è che quella di Haftar sia solo un’azione dimostrativa e che la mediazione dei molti attori internazionali coinvolti nel processo di pacificazione possa riportare il confronto tra i due leader libici sul piano politico. Inshallah.
Davide Garavoglia