L’Italia non è solo Milano

«Quello che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia»: così scriveva a fine Ottocento Gaetano Salvemini, evidenziando l’influenza decisiva in ambito nazionale del capoluogo lombardo. La polarizzazione tra la “capitale morale” da una parte e quella politica dall’altra ha rappresentato per oltre un secolo una lente interpretativa da cui osservare gli sviluppi strategici del Bel Paese, con la conseguente semplificazione delle ragioni alla base di un divario estremamente complesso. Tale sperequazione sta però estendendosi anche ad altre aree della penisola, non solo centro-meridionali.

Le posizioni autolesionistiche della giunta comunale torinese, che hanno portato gli organizzatori del Salone dell’Auto a spostare a Milano l’edizione del 2020 (dopo che quest’anno ben 700.000 visitatori avevano partecipato all’importante manifestazione), oltre a riaccendere i riflettori sull’attrattività meneghina in fatto di grandi eventi e prestigio internazionale hanno permesso alla città ambrosiana di inanellare l’ennesimo successo in meno di un lustro.

Sono passate infatti appena 3 settimane dalla decisione del Comitato Olimpico Internazionale di far disputare le Olimpiadi Invernali 2026 al tandem Milano-Cortina (con quest’ultima che le aveva già ospitate nel lontano 1956), sconfiggendo l’ipotesi Stoccolma-Are. Anche in questo caso a farne le spese è stato il capoluogo piemontese, che aveva provato a portare avanti una candidatura propria, scontrandosi però con Milano per la volontà di quest’ultima di guidare la cordata (ventilata dal CONI) con Torino e Cortina. Le frizioni tra le due città italiane hanno convinto CONI e governo a puntare sull’alleanza lombardo-veneta, risultata poi vincente.

Il braccio di ferro tra Milano e Torino è stato visibile anche nel settore editoriale, con alcune grandi case editrici che nel 2017 hanno provocato una “scissione” all’interno del Salone Internazionale del Libro di Torino, dando vita al festival milanese “Tempo di Libri”, che non è però riuscito a scalzare il primato della kermesse piemontese, ancora la più importante della penisola. Nel 2019 Tempo di Libri non ha avuto luogo: per una nuova edizione bisognerà aspettare febbraio 2020.

L’Italia, quando vuole vincere (o quantomeno provarci), sembra puntare esclusivamente su Milano. È quanto ha provato a fare il nostro Paese in occasione della Brexit, candidando la città della Madonnina per ospitare l’EMA (European Medicines Agency), l’ambita agenzia comunitaria per il farmaco. Come è noto, i sogni italiani si sono infranti nel novembre 2017 a vantaggio di Amsterdam, dopo che era stato necessario un sorteggio tra le due sedi concorrenti, entrambe a pari voti.

Senza dubbio la capacità milanese di primeggiare in numerosi campi denota una struttura amministrativa competitiva ed efficiente, soprattutto se confrontata con molte altre realtà italiane (il paragone con Roma, al momento, risulta impietoso). Allo stesso tempo, però, si rischia di sottovalutare le responsabilità (leggi “doveri”) che una tale situazione comporta. Paradossalmente, infatti, l’enfasi sulla dimensione europea ed internazionale di Milano si accompagna ad un’ubriacatura localistica di una città che ambisce a farsi città-Stato. Negli ultimi anni (specialmente dopo la consacrazione di EXPO 2015) l’impressione è che Milano sia (legittimamente e coerentemente con la propria tradizione) sempre in prima linea nell’accaparrarsi affari ed onori ma che si percepisca non più come traino del Paese bensì quale centro autoreferenziale.

In quest’ottica, per Milano l’Italia rappresenterebbe nel caso peggiore una zavorra, in quello migliore un retroterra utile per il raggiungimento delle proprie aspirazioni di “grandeur”. Anche la sensata obiezione che Milano, insieme alla Lombardia, rappresenti una fonte insostituibile per il gettito fiscale da ridistribuire al Sud non coglie appieno il problema, considerando le sempre più insistenti spinte centrifughe, a cominciare dal referendum consultivo sull’autonomia del 2017, ed il collasso del nostro Meridione, che getta un’ombra fosca sul futuro italiano.

Ad oggi la grande assente è la capitale reale, incapace (a prescindere dal colore delle giunte) di affrontare in questi ultimi anni persino i problemi di ordinaria amministrazione, con una qualità della vita ed un livello dei servizi in caduta libera. Con Roma ad essere latitante è la stessa politica, che non riesce a riprendere le redini del sistema Paese, armonizzando e frenando alcuni impulsi economicistici tout court  delle nostre classi dirigenti, immerse in un orizzonte “post-storico” e disabituate al ragionamento strategico.

Se Roma non rivestirà di nuovo il ruolo che le compete, le conseguenze per la tenuta unitaria del Paese potrebbero, nel corso delle crisi future, presentare un conto salato. Ed è per questo che a Milano si chiede di “ritornare italiana”. Molteplici volte nella storia dell’Italia contemporanea Milano ha anticipato e dettato le linee di sviluppo nazionale: che torni dunque a pensare in italiano, anche a costo di qualche perdita nel breve periodo. Non a caso i colori presenti nel Tricolore riprendono le truppe della Legione lombarda di fine Settecento: il bianco ed il rosso rappresentano proprio la città di Milano, che solo all’interno dello Stato unitario può essere veramente “capitale morale”.

Marco Valerio Solia