Bashar al-Asad è ancora lì, con buona pace di chi per anni ha tentato di rovesciarne il regime. E dopo aver subìto l’invasione turca nella zona curda del Paese, il presidente siriano è più che mai deciso a riconquistare la parte di Siria ancora in mano ai ribelli. Quel lembo di terra a nord-ovest, che ha come epicentro Idlib, dove gruppi jihadisti (come Tahrir al-Sham, espressione di Al Qaeda in Siria) e miliziani anti-regime si mischiano a soldati turchi e foreign fighters.
La questione siriana non si è certamente esaurita con la sconfitta dello Stato Islamico ed il consolidamento del potere, favorito da Russia ed Iran, nelle mani di Asad. L’intervento turco in Siria ha infatti rimescolato le carte di una partita che sembrava poter finalmente tornare ad essere interna. E se il presidente siriano, supportato dalla Russia, aveva accettato quell’ingerenza straniera, era solo nella convinzione (rivelatasi errata) di non essere successivamente ostacolato da Ankara nel processo di riannessione del nord-ovest.
La Turchia ha infatti deciso di continuare a sostenere i ribelli della provincia di Idlib, al fine di garantirsi una zona cuscinetto che segua il proprio confine meridionale fino quasi al Mediterraneo. Negli ultimi mesi si sono dunque susseguiti scontri sempre più intensi tra le truppe siro-russe ed i miliziani delle aree occupate, coinvolgendo sempre più spesso anche soldati turchi impegnati nell’area.
Secondo una stima delle Nazioni Unite, circa 3 milioni di persone (di cui un terzo bambini) vivrebbero nell’area interessata dai combattimenti, oltre il 40% delle quali proviene da altre aree del Paese. Questa zona, che dal 2015 non è più sotto il controllo governativo, ha visto nell’ultimo anno un’intensificazione delle attività militari che ha portato alla morte di oltre 1.700 civili. A partire dallo scorso dicembre, con l’aiuto di miliziani iraniani e dell’aviazione russa, l’esercito siriano ha messo in atto una pesante offensiva nel nord-ovest, riconquistando numerose città a sud di Idlib (tra cui la strategica Saraqeb) e riprendendo il controllo dell’autostrada che collega Aleppo a Damasco e, in parte, della Aleppo-Latakia.
Il governo turco, intenzionato a mantenere presenza e controllo sulla buffer zone lungo il proprio confine, aveva dato tempo fino a fine febbraio alle truppe siriane per interrompere le operazioni e ritirarsi oltre la linea di osservazione turca. L’offensiva non si è tuttavia arrestata, anzi ha provocato (con un solo attacco) la morte di 34 soldati turchi e la conseguente reazione di Ankara, che ha deciso di dare vita all’operazione “Scudo di primavera”, la prima rivolta direttamente contro l’esercito regolare di Damasco.
Il contrattacco turco non si è fatto attendere: secondo il ministero della Difesa turco 5 elicotteri, 23 tank, 23 cannoni e due sistemi di difesa anti-aerea sarebbero stati distrutti e 309 soldati siriani sarebbero stati “neutralizzati”. Erdogan si è poi rivolto minaccioso verso l’Europa, allentando i filtri alle frontiere occidentali e lasciando che oltre 80mila migranti attraversassero il confine con l’UE dalla provincia di Edirne verso Bugaria e Grecia. Altri sono giunti sulle coste e le isole greche via mare. Un assaggio, visto che di migranti la Turchia ne ospita 3 milioni e mezzo, di quello che potrebbe succedere se il sultano decidesse di non tener più fede all’accordo stipulato con Bruxelles.
Mosca, che finora ha cercato di evitare uno scontro diretto con i turchi, sta continuando da un lato a dialogare con Ankara per la creazione di una “zona demilitarizzata” a Idlib. Dall’altro lato, però, oltre a fornire assistenza strategica e militare a Damasco, ha deciso di schierare nel Mediterraneo due fregate dotate di missili Kabir (gettata fino a 1.500 km). Erdogan ha invitato Putin a farsi da parte, ma il leader del Cremlino non sembra affatto intenzionato ad abbandonare il proprio alleato ed attende il 5 marzo per incontrare il suo omologo turco a Mosca e discutere sull’attuazione degli accordi di Sochi.
Siamo entrati dunque in una fase decisiva del conflitto siriano: lo scontro finale tra due Stati vicini che hanno visto deteriorarsi sempre di più i propri rapporti. La Russia, ancora una volta, giocherà un ruolo fondamentale in Medio Oriente. L’Europa, sotto lo scacco turco, non può più accettare una condotta così apertamente in contrasto con il diritto internazionale e tanto meno dovrebbe farlo la NATO, di cui la Turchia fa parte.
Lo Scudo di Primavera brandito da Erdogan è fatto di civili, che ad Idlib come in Turchia aspettano che tutto finisca per poter riprendere, una volta per tutte, la propria vita.
Davide Garavoglia