Dal Venezuela allo Spazio: l’Iran gioca il tutto per tutto

La pandemia di Covid-19, nonostante le speranze di numerosi osservatori, non ha inaugurato un corso più conciliante nelle relazioni internazionali, incrementando al contrario la portata delle crisi regionali e facendo temere nuovi e più gravi conflitti. Caso emblematico è quello dell’Iran, che ha dovuto fronteggiare contemporaneamente il virus e l’estensione delle sanzioni dello scorso gennaio, voluta dagli Stati Uniti per colpire diversi settori strategici del rivale, tra i quali si segnalano il comparto siderurgico e quello minerario.

I dati della crisi economica in cui versa la Repubblica Islamica sono eloquenti: nel 2019 l’Iran ha registrato un calo del Pil di circa il 9%.  Il mese scorso, inoltre, Teheran si è vista rifiutare un finanziamento di 5 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale, richiesto per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Alla base del diniego il veto posto dagli Stati Uniti.

Pressato dalle tensioni regionali e dalle difficili condizioni interne, l’Iran ha aumentato i suoi sforzi per mantenere influenza e proiezione militare, così da puntellare le proprie posizioni. È degli ultimi giorni la notizia dell’invio di 5 petroliere verso il Venezuela. Caracas sta infatti subendo il blocco economico voluto da Donald Trump, che ne ha messo in ginocchio il settore petrolifero. Il Venezuela si è ritrovato in una situazione paradossale per un Paese storicamente esportatore di petrolio, non disponendo neanche di carburante per soddisfare il fabbisogno interno.

L’accordo tra Iran e Venezuela, secondo quanto denunciato da Washington, vedrebbe il primo impegnato a far ripartire l’industria venezuelana in cambio delle ingenti riserve di oro di cui può ancora disporre Caracas. Resta da vedere come reagirà la Marina a stelle e strisce una volta giunte in prossimità dei porti venezuelani le navi iraniane: non è infatti da escludere a priori l’ipotesi di uso della forza.

Teheran non si è certo limitata a sostenere il fragile Paese sudamericano, puntando molto più in “alto”. A fine aprile l’Iran ha annunciato il lancio nello spazio del suo primo satellite, “Noor 1”, dimostrando come la pandemia non abbia bloccato i progetti della Repubblica Islamica. Di particolare valenza tecnologica e strategica, esso rientra nei piani per lo sviluppo di un programma balistico in grado di trasportare anche testate nucleari, così da aumentare la deterrenza verso le potenze ostili. Non è dunque una sorpresa se all’iniziativa iraniana è seguita la ferma condanna d’Israele, che ha invitato la comunità internazionale ad applicare nuove sanzioni contro Teheran.

Nonostante i progressi fatti, non sono tuttavia mancati errori marchiani. La scorsa settimana, ad esempio, nel corso di un’esercitazione navale nel Golfo dell’Oman le forze iraniane hanno silurato una delle loro stesse navi, provocando almeno 19 morti e numerosi feriti. L’evento ha ricordato l’abbattimento nel gennaio di un aereo diretto in Ucraina che stava sorvolando Teheran, al quale era seguito uno dei più gravi scandali dell’Iran contemporaneo, soprattutto per i tentativi di coprire le vere cause del disastro.

La situazione regionale non aiuta a disinnescare le tensioni. Lo scorso sabato un attacco aereo ha colpito una base iraniana in Siria, senza che sia stato possibile contare con certezza il numero delle vittime. Fonti locali indicano quale responsabile Israele, senza però che vi siano state conferme ufficiali. Il ministro della Difesa israeliano, Naftali Bennet, ha inoltre parlato del progressivo ritiro di truppe iraniane dalla Siria e dell’abbandono di diverse basi.

Nel frattempo si susseguono gli attacchi cyber tra i due Paesi: l’8 maggio è diventata di dominio pubblico l’offensiva iraniana (andata a vuoto) contro il sistema idrico israeliano, al quale Gerusalemme ha risposto il 9 maggio con un analogo attacco informatico contro il porto di Shahid Rajaee, nello stretto di Hormuz.

Occorrerà valutare sul medio periodo i reali effetti di una simile escalation. A complicare il futuro della Mezzaluna fertile contribuiscono la critica situazione del Libano, che ha dichiarato default lo scorso marzo, ed i possibili cambiamenti della politica irachena, con il nuovo presidente Mustafa al-Kadhimi che rappresenta per diversi aspetti un’incognita.

Le pandemie non fermano la storia, la accelerano.

Marco Valerio Solia