Come se non bastasse una pandemia mondiale, l’Europa è diventata l’epicentro di una nuova e preoccupante ondata di attentati ad opera di estremisti islamici.
La Francia, che negli scorsi anni è stata in diverse occasioni vittima di attacchi terroristici, è ancora una volta protagonista con tre episodi nell’arco di pochi giorni: la decapitazione di un professore ritenuto colpevole di aver mostrato le vignette su Maometto del periodico Charlie Hebdo, l’uccisione di tre persone nella cattedrale di Notre Dame a Nizza e il tentato omicidio di un prete greco ortodosso a Lione.
Durante un discorso tenuto a inizio ottobre, il presidente Macron aveva annunciato un piano di azione contro il separatismo islamista, introducendo un progetto di legge per rafforzare la laicità del Paese che sarà ufficialmente presentato il 9 dicembre. La Francia ha la più alta percentuale europea di cittadini musulmani (5,7 milioni, pari all’8,5% della popolazione) e la stima per il 2050 vedrà tale dato aumentare, fino a raggiungere tra il 12,7 e il 18%, a seconda dell’incidenza migratoria.
Nel corso del 2020 numerose moschee e scuole coraniche sono state chiuse in quanto ritenute luoghi di radicalizzazione ed altre associazioni sarebbero nel mirino del Ministero dell’Interno. Macron vorrebbe impedire che attori esterni continuino ad influenzare le comunità islamiche nazionali (al momento 151 imam sono pagati dalla Turchia, 120 dall’Algeria e 20 dal Marocco) e per questo intende formare gli imam in Francia, oltre a rafforzare i controlli su scuole e luoghi di culto.
La Francia non è l’unica vittima europea di questo nuovo ciclo di violenze. Il 2 novembre è stata la volta dell’Austria, colpita nella notte che ha preceduto l’inizio di un nuovo lockdown. Qui il ventenne austro-macedone Kujtimi Fejzulai (supportato da alcuni complici) ha aperto il fuoco sui passanti in diversi punti del centro di Vienna, uccidendo 4 persone e ferendone 22, prima di essere a sua volta colpito a morte. L’attentatore apparteneva ai “Leoni dei Balcani”, un gruppo di stampo jihadista nato nel 2018 e i cui membri vivono e operano tra Germania, Austria e Svizzera.
Le accuse per una scarsa attenzione, legate principalmente al rilascio dell’attentatore dopo un ridotto periodo di detenzione (era infatti già stato arrestato nel 2018 dopo un tentativo non riuscito di raggiungere la Siria), sono inevitabilmente piombate sulla magistratura, sui servizi segreti e sugli apparati interni preposti al monitoraggio e contrasto del terrorismo.
Sebbene gli episodi di violenza religiosa siano stati sporadici negli ultimi anni (la comunità musulmana austriaca risulta piuttosto integrata, a differenza della Francia), durante la guerra in Siria sono stati oltre 300 i foreign fighters partiti dal territorio austriaco per combattere nelle file dello Stato Islamico, indice di un substrato estremista non indifferente. Anche qui il governo si era adoperato per la chiusura di alcune moschee, inclusa quella dove si ritiene si sia radicalizzato il giovane terrorista.
La spaccatura sociale provocata da questi attacchi ha inevitabili ripercussioni sul panorama politico interno e internazionale, soprattutto nel caso francese. Una posizione più estrema permette a Macron di avvicinare una fetta di elettorato che in questi anni ha virato sempre di più verso Marine Le Pen, probabile avversaria alle elezioni del 2022. Lo scontro con il presidente turco Erdogan, avversario nei vari scenari di conflitto e paladino della causa islamica sotto tutti gli aspetti, ha dato poi al presidente francese un capro espiatorio contro il quale compattare l’opinione pubblica non solo nazionale, ma anche europea.
Questa polarizzazione, tuttavia, non fa altro che acutizzare delle frizioni già sufficientemente evidenti, figlie di un modello di integrazione e di una politica migratoria fallimentari. Se si vuole evitare lo scontro di civiltà, bisogna essere consapevoli che il processo da seguire sarà lungo e tortuoso e richiederà lo sforzo di tutti gli attori, sia politici che religiosi. Questo percorso deve inevitabilmente passare dalla ferma condanna della violenza, dal rispetto delle libertà personali e collettive e dall’accettazione ed adeguamento alle norme nazionali.
La lotta agli estremismi (non alle religioni) è l’unica via per poter convivere pacificamente tra culture differenti.
Davide Garavoglia
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